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Una proposta

Si devono stabilire delle linee che aiutino a valutare i passaggi avvenuti fino ad adesso, andando oltre una loro caratterizzazione puramente negativa. Una pluralità di fili che già erano presenti si sono annodati, intorno alla fase pandemica, fino a formare un ordito strettissimo. Alcuni fattori di crisi della realtà esistente, di tipo sociale, etico, epistemologico, metafisico, ecologico, che fino ad un dato momento e tradizionalmente non avevano nulla di sovversivo, toccano delle soglie che fuoriescono dal quadro politico della sfera pubblica liberale, dalle coordinate di senso e di linguaggio che definiscono un intero modello di civilizzazione. I fenomeni che si esprimono intorno alla contestazione del sapere scientifico, alla nebulosa “complottista”, alla stessa rideclinazione dei conflitti sociali degli ultimi anni, non soltanto rientrano in un frame ideologicamente spurio che ormai da tempo eccede i linguaggi della sinistra, dell’emancipazione o del movimento operaio, ma sfidano gran parte delle polarizzazioni e dei prismi analitici che hanno guidato in passato la classificazione e percezione dei movimenti: regressivo e progressivo, emancipatorio e reazionario, critico ed oscurantista. Si potrebbe dire, forzando i termini, che il registro di questi movimenti veste panni irrazionalisti e reazionari proprio laddove progressismo e razionalità – di tipo scientifico o generalmente sociale – incarnano apertamente delle funzioni di governo. Molti decenni addietro Camatte vaticinava che, una volta incorporate nella forma capitalistica le immagini della ragione e della scienza, la rivolta si sarebbe espressa in modo esplicito contro queste due categorie.

Dall’altra parte c’è una proliferazione di movimenti che parlano un linguaggio più noto e che, a tentoni, formulano un’analisi sulla crisi ecologica, il definanziamento dei servizi o della salute, la privatizzazione dei bisogni sociali, le energie alternative all’estrazione fossile. Il campo occupato da tali aggregazioni – tra cui spicca lo spettro dell’ambientalismo nel suo continuum di gradazioni – risulta fortemente integrato con i dispositivi governamentali: se questo ambito conosce molte sfumature di progressismo e di sinistra, è comunque evidente come serva da discorso di gestione delle crisi, da supporto a una dialettica politica perfettamente interna alla ristrutturazione della “comunità-capitale”. Il fatto che tutte le sigle ecologiste esistenti rivendichino l’urgenza dello Stato di emergenza climatica è un sintomo evidente di quanto simili registri siano contaminati dal pensiero del nemico. Le riflessioni degli anni ‘70 – a partire dal rapporto del MIT – sulla civiltà della carestia come possibile nuova veste del neocapitalismo, che si miniaturizza nella coscienza dei soggetti facendo propria la ragione critica sui limiti della crescita e dello sviluppo, appaiono meno fantasiose sotto questa luce. Se il volto odierno del capitale è quanto mai estrattivista e sviluppista, una delle sue varianti di gestione più visibili, legittimate e funzionali, riposa proprio sull’ideologia del limite e sulla crisi permanente come possibile modello di governo. Che l’attivismo social dell’ambientalismo postmoderno riposi su tonnellate e tonnellate di salamoia di litio e metalli rari è solo l’ultima delle sue contraddizioni.

La polarizzazione tra i due campi appena descritti forse impone ai militanti delle scelte, ma sicuramente impone un ripensamento delle categorie analitiche su un livello più alto. Innanzitutto è necessario precisare questa polarizzazione: nel momento in cui la governamentalità imperiale dismette ogni finzione sociale e si presenta come un’infrastruttura tecnica e discorsiva con la quale gli individui interagiscono in modo isolato, le due polarità che abbiamo descritto corrispondono a due diverse strategie di aggregazione, la prima che fa leva sull’orizzonte delle libertà e dei diritti individuali, la seconda sulle forme storiche della costruzione di una rappresentatività “sociale” o “di classe”. La distanza tra i repertori storici di queste due opzioni è la causa della divaricazione soggettiva e retorica che li accompagna, ma allo stesso tempo la novità di un potere così immediato e pervasivo fa saltare (come abbiamo già detto) le griglie valoriali che eravamo soliti assegnare alle rappresentazioni storiche di queste strategie. Si tratta per noi di individuare le categorie adatte a cogliere la singolarità della nostra condizione.

Tali categorie devono fare il punto sulle ragioni che segnano l’attuale espressione dei conflitti, sui nodi che ne presiedono lo scenario e che possono permettere di districarsi al loro interno. Tagliando con l’accetta, proviamo ad elencarne alcuni. Come prime lenti ci sono il continente digitale, il piano epistemologico e quello del controllo. Punti che sono strettamente connessi e designano un comune strato di realtà: lo studio della digitalizzazione porta a individuare nei processi di innovazione capitalistica (Curcio 2022), nelle radici coloniali e razziste della statistica e della psicologia comportamentale (Crawford 2021), le matrici delle classificazioni tacite che influenzano la logica degli algoritmi e la visione della realtà che ne modella i dati di addestramento. Ciò significa che, prima ed al di là degli aspetti tecnici e tecnologici sul portato del continente digitale, occorre risalire alle radici degli schemi di classificazione che vi sono inscritti come opzioni di default. In altra parole, è urgente tracciare una rete di collegamenti tra gli aspetti paternalistici e “cibernetici” della creazione di “contesti obbliganti” (riassunti ad esempio dal concetto di nudging) che sempre più essenzialmente invadono quella cosa chiamata spazio pubblico – di cui la fase pandemica ci ha dato larga dimostrazione.

Questo rimanda a due fattori: gli strumenti di tale sistema rispondono a funzioni sociali molto prosaiche (Mc Quillan 2022) come il restringimento dell’accesso ai servizi pubblici alle origini del modello neoliberale, ma sono anche l’incrostazione più o meno consapevole di una visione metafisica ed epistemologica che fonda l’idea stessa di classificazione della realtà. Non c’è bisogno di perdersi in Heidegger per vedere dietro il progetto di mappatura e incasellamento della realtà una precisa immagine della civilizzazione, ma soprattutto non occorrono grandi investigazioni per cogliere che l’intera infrastruttura materiale, economica e tecnologica del mondo funziona su un’estrazione incrementale e continua di informazioni. Un’estrazione materiale ed economica, con lo sfruttamento del crowdworking diffuso e delle nostre attività quotidiane; fisica ed ecologica, con la distruzione massiccia degli equilibri ambientali che riguarda tutto il settore digitale e alcune delle energie alternative (Pitron 2018); poliziesca e di controllo, in quanto l’intelligenza artificiale nasce dall’impulso dei settori militari e di intelligence e in essi trova un dispiegamento concreto e decisivo; politica, visto che le categorie e le volontà che sono in gioco in questa armatura di calcolo non hanno nulla a che vedere con meccanismi tecnici neutrali, ma sono invece il condensato di definizioni normative. Stiamo dunque parlando di studiare il rapporto tra la costruzione del mondo come insieme di entità estraibili, e gli effettivi processi di valorizzazione che vengono installati sulla cosmovisione del capitale, in una fase in cui quest’ultima prova a raggiungere una sussunzione reale dell’immaginario.

In continuità con questo, il lavoro di ricerca potrà approfondire i modi di produzione di questa realtà “estraibile”, in particolare guardando a un processo che possiamo chiamare di irreggimentazione dell’immaginario (o di ciò che intendiamo per reale tramire la categoria di verità): il prevalere di una struttura categoriale sulla realtà, nella direzione di significare un insieme sempre più grande di gesti ed esperienze. L’elemento saliente per noi è che questo nodo viene posto in modo esplicito dai movimenti spuri emersi negli ultimi anni, in particolare attraverso una attitudine al sospetto verso il quadro interpretativo specifico che accompagna ogni dispositivo governamentale. Da notare è anche che questa griglia interpretativa variabile che accompagna i gesti di governo ha assunto sempre maggior centralità all’interno della funzione di governo stessa.

Per questa ragione le lotte e le fratture che intralciano l’avanzamento di tale apparato di sorveglianza e computazione estrattiva, dietro cui sta una potente macchina militare-industriale che non ha nulla di virtuale, intervengono nell’attuale configurazione dei rapporti di classe e di valorizzazione in modo importante. La lista minima dei punti da toccare comprende quindi: ristrutturazione digitale del capitalismo/capitalismo cibernetico e sorveglianza; epistemologie e cosmovisioni; narrazioni alternative della realtà e “complottismi”; critica dell’ecologismo e uso repressivo della morale ecologica/ accumulazione verde e discorso sulle emissioni; analisi e bilanci strategici di percorsi di lotta, su scala locale e internazionale, che tocchino questi punti. L’ottica attraverso cui avvicinare queste categorie dev’essere quella di formulare un lessico, all’inizio quasi un glossario, che serva a sedimentare un linguaggio condiviso e comunichi strettamente con il respiro di un pensiero comune che attraversi i saperi specialistici per stringere sull’essenziale e sull’esperienza. Definire delle coordinate e costruire un piano di ragionamento – tra chi condivide le evidenze intorno a cui è possibile intendersi – non ha un semplice fine di chiarificazione o esercizio intellettuale, ma deve servire a organizzare una sensibilità e una posizione sul presente. Costruire una sensibilità rivoluzionaria che sappia darsi un proprio ritmo, fuori dall’ansia delle visibilità, dell’accumulo quantitativo e della mobilitazione politica, significa coltivare un arte dell’incontro e allo stesso tempo della distanza. Non abbiamo fretta e non abbiamo tempo da perdere. Ogni forza rivoluzionaria nasce da uno scisma, da una rinuncia ad apparentamenti comodi e solidarietà ambigue che immobilizzano l’iniziativa e ottundono l’acutezza dello sguardo. Gli anni passati ce ne hanno dato un assaggio che quelli futuri si incaricheranno di confermare. Per questa ragione lanciamo il progetto di un contenitore e di una lente che renda accessibile questo lavoro di elaborazione, coi tempi e le forme che vorremo e di cui avremo bisogno, in modo che le distanze si approfondiscono e gli incontri si consolidino, si moltiplichino e si ramifichino. Vedremo quali saranno i contorni della figura che ne verrà fuori.

«Non abbiamo fretta e non abbiamo tempo da perdere. Ogni forza rivoluzionaria nasce da uno scisma, da una rinuncia ad apparentamenti comodi e solidarietà ambigue che immobilizzano l’iniziativa e ottundono l’acutezza dello sguardo»